BENEVENTO
«Nulla in Italia è più antico di Benevento, che secondo le leggende locali fu fondata o da Diomede o da Ausone, un figlio di Ulisse e Circe».
Edward Hutton 1958
Il grande noce vicino al fiume Sabato era il riferimento dei Longobardi appena divenuti padroni della città. Ben prima della loro conversione al cristianesimo nel 664, si ritrovavano intorno all’albero maestoso, dove guerrieri e donne in trance svolgevano sacre cerimonie. In quello stesso luogo, tanti secoli prima, usavano incontrarsi i Sanniti di Maloenton adoratori dei boschi, per partecipare al calar delle tenebre ai riti divinatori celebrati solennemente dalle loro sacerdotesse. E in seguito, quando era già l’epoca della Beneventum romana, erano stati anche i seguaci di Iside a riunirsi vicino al fiume. Un posto speciale per i popoli e le culture che avevano segnato la storia della città nel suo primo millennio di vita. Ma poi la percezione era completamente cambiata, fino a identificare quell’area come teatro dei convegni diabolici delle streghe le janare protagoniste di processi e atroci esecuzioni all’epoca dell’Inquisizione. Quando Benevento era già da tempo un’enclave dello StatoPontificio nel Regno di Napoli. Anche se le dinastie che si erano succedute a potere nella città diPartenope non avevano mai accettato quell’”anomalia” tra i monti del Sannio e sempre avevano tentato di prenderne il controllo, occupandola a più riprese, da Federico II di Svevia a Giovanna II d’Angiò, ma mai in modo risolutivo. Solo gli Aragonesi avevano accettato il dominio papale, che non sarebbe mai venuto meno fino all’Unità d’Italia, se non temporaneamente durante la Repubblica Napoletana e il periodo napoleonico.
La Via Appia raggiungeva Benevento proprio dove il Sabato la attraversa, prima della sua confluenza nel Calore, l’altro fiume che scorre nel ventre della città. Grazie al collegamento che la regina viarum garantiva tra Roma e il porto di Brindisi, la porta verso l’Oriente, la città sannita era diventata un fondamentale snodo commerciale nel cuore dell’Impero, acquisendo vantaggi economici e un ruolo di primo piano, testimoniato dalle grandi opere, non solo infrastrutturali ma anche culturali, che i Romani vi realizzarono e che in buona parte sono giunte fino a noi.
Già i Sanniti avevano costruito un ponte sul Sabato. Ma per l’Appia, fu necessario farne uno nuovo, più imponente e adeguato all’importanza dell’arteria che vi passava. Lo costruirono nel III secolo d.C., quando era censore Appio Claudio Cieco. A cinque arcate, restaurato più volte anche in età imperiale, si chiamava Ponte Marmoreo, ribattezzato poi Leproso, come lo conosciamo ancora, perché nel Medio Evo lì vicino c’era un lebbrosario. Distrutto dal terremoto del 1688 e ricostruito con quattro arcate, attualmente il ponte è un accesso alla città solo pedonale.
Vicino al Sabato le opere di epoca romana
Nei pressi del ponte si trovano i resti dell’antico criptoportico dei Santi Quaranta, un complesso di corridoi coperti da volte, posto sul limitare di un dislivello naturale che in origine era all’interno della città romana. Il riferimento ai Santi Quaranta risale al periodo longobardo, quando su uno dei corridoi della struttura antica, in onore dei quaranta martiri di Sebaste molto venerati fino al Medio Evo, fu edificata una chiesa completamente scomparsa. Dopo una lunghissima decadenza, l’area archeologica del criptoportico oggi può essere visitata.
Vicino al Ponte Leproso, nel 1985 riemersero le tracce del grande anfiteatro romano in cui, secondo Tacito, l’imperatore Nerone assistette a uno spettacolo di gladiatori nel 63 d.C.. Perciò la costruzione potrebbe essere collocata tra il I secolo a.C. e il I d. C. Vi si svolgevano spettacoli gladiatori e era forse anche una scuola di gladiatori. I terremoti verificatisi già nel periodo tardoimperiale lo mandarono in disuso, mentre i pregiati materiali da costruzione furono utilizzati per opere successive.
A poca distanza dall’anfiteatro, all’incrocio in fondo a via Torre della Catena si incontra la statua del bue Apis, in granito rosa, riemersa dal passato nel 1629, che apparteneva alla dotazione del tempio di Iside, di cui non sono rimaste tracce, ma che probabilmente era collocato nella zona orientale della città, giacchè in quell’area sono stati ritrovati la maggior parte dei reperti riconducibili al culto isiaco, oggi esposti nella sezione egizia del Museo Arcos.
A pochi passi dal monumento, sul viale San Lorenzo, s’innalza la Basilica della Madonna delle Grazie, patrona della città e dell’intero Sannio, edificata come voto dopo il colera del 1837 su progetto dell’architetto Vincenzo Coppola, in stile neorinascimentale. Nel 1839 fu messa la prima pietra dal futuro papa Leone XIII e fu consacrata nel 1901, ma il completamento della facciata con il pronao è degli anni Venti del Novecento. La statua in legno policromo della Madonna delle Grazie con il Bambino è di scuola napoletana del XVI secolo.
Dentro il centro storico
Entrando nel centro storico da Port’Arsa, l’unica rimasta in piedi delle porte cittadine del periodo longobardo, quando fu edificata utilizzando materiali di spoglio di età romana, si raggiunge piazza Ponzio Telesino, su cui si apre l’ingresso del grande teatro romano che, quando era in uso, arrivava ad accogliere anche diecimila spettatori. Fu realizzato sotto Adriano in prossimità del cardo maximum cittadino e inaugurato nel 126 d.C., come ricorda uno dei due cippi all’ingresso della scena, mentre l’altro celebra l’ampliamento voluto da Caracalla tra il 200 e il 210. Un teatro maestoso come si conveniva all’importanza di Benevento. Con un diametro di 98 metri, costruito in opus coementicium e blocchi di pietra calcarea, contava ben tre ordini di venticinque arcate sorrette da colonne in tre diversi stili: tuscanico, ionico e corinzio. E’ rimasto intatto il primo ordine, quello tuscanico, e una parte del secondo. L’imponente cavea a pianta semicircolare era collegata con una facciata in laterizio con nicchie per le statue e tre porte monumentali alla scena, fissa e di grande effetto scenografico, oltre che dotata di un’ottima acustica, di cui restano due spogli piloni. La fiancheggiavano due aule: una mostra ancora il pavimento in mosaico e lo zoccolo inferiore rivestito di marmi colorati. Delle decorazioni originali del teatro si sono conservati anche dei mascheroni, ricollocati in varie zone della città. Resti delle scalinate e dei corridoi che collegavano le diverse parti del teatro e parte delle trabeazioni completano ciò che si è salvato di una struttura scomparsa per secoli sotto altre costruzioni ad uso abitativo. Solo nel 1890 fu scoperta la presenza del teatro antico tra le fondamenta dei palazzi sovrastanti, demoliti nei primi decenni del secolo scorso per riportare alla luce il manufatto romano. Unica eccezione fu fatta per la settecentesca chiesa di Santa Maria della Verità, ristrutturata dopo il sisma del 1980, che sorge su una parte della cavea. Il teatro, aperto al pubblico, è utilizzato per spettacoli estivi ed è dotato di un antiquarium, in cui sono esposti soprattutto reperti lapidei.
Da via Port’Arsa, nello storico quartiere Triggio, si giunge in via Carlo Torre, corrispondente al cardo maximum romano. Sorge lì l’Arco del Sacramento, che forse introduceva al foro romano. Molto danneggiato dai bombardamenti del 1943, è parte di un’area archeologica visitabile. Da via Carlo Torre si arriva in corso Garibaldi, che in gran parte corrisponde al decumano romano ed è area pedonale, il cuore di Benevento.
Il Duomo, la più antica chiesa della città
Sulla sinistra s’innalza il Duomo di Santa Maria de Episcopio, la chiesa più antica della città che i bombardamenti della II Guerra Mondiale rasero quasi al suolo facendo perdere le preziose testimonianze conservatesi fino ad allora dell’edificio originario del VII secolo. Un accurato lavoro di ricostruzione ha consentito il quasi pieno recupero del campanile e della facciata, entrambi della fine del XIII secolo. II campanile è formato da blocchi di pietra bianchi, mentre la facciata è coperta di marmo anch’esso bianco. Unica parte sopravvissuta ai bombardamenti è la cripta, che presenta cicli pittorici del IX secolo. Nell’atrio, restaurata, è la janua major, la porta maggiore di bronzo, opera di scultori romani del XII secolo. In una parte vi sono raffigurati episodi della vita di Cristo tratti dai Vangeli, nell’altra sono onorati l’allora vescovo metropolita di Benevento e altri presuli. Molto preziosa e venerata è la statua del patrono San Bartolomeo, le cui spoglie furono traslate a Benevento nell’838.
Davanti al Duomo, in piazza Orsini, si trova la settecentesca fontana con la statua di Benedetto XIII, al secolo Vincenzo Maria Orsini, arcivescovo di Benevento dal 1686 fino al 1730, che volle conservare la titolarità della diocesi pure dopo elezione al soglio pontificio. Sulla destra si trovava palazzo arcivescovile distrutto bombardamenti del 1943, che custodiva preziosi codici medievali scritti nella minuscola beneventana E proprio di fianco alla cattedrale è la basilica di San Bartolomeo, eretta dopo l’arrivo delle reliquie del santo da Lipari ad opera del principe longobardo Sicardo. Crollata nel 1702, l’allora arcivescovo Orsini raccolse i fondi nel 1724 per la ricostruzione, affidata a Raguzzini. Ad aula unica, si segnalano il prezioso coro ligneo e il monumento in porfido rosso sotto l’altare maggiore con le reliquie dell’apostolo.
Le chiese del centro storico
Nelle vicinanze, in piazza Dogana, un altro gioiello è la chiesa di San Francesco con il convento. Si dice che fu San Francesco a fondarla, di passaggio a Benevento diretto verso il Gargano. L’impianto originario ad un’unica navata con copertura a capriate lignee. Originaria è l’abside con frammenti di affreschi trecenteschi di un pittore giottesco raffiguranti la Madonna dell’Umiltà. Si distingue anche un affresco del XV secolo: La Trinità tra la Madonna e San Giovanni evangelista, in basso i Santi Bartolomeo, Giovanni Battista e Francesco. Nel convento vi sono due chiostri gotici, uno dei quali adorno di un affresco bizantineggiante dell’XI secolo raffigurante San Costanzo.
Su corso Garibaldi si distingue il Palazzo Paolo V, con elementi dell’architettura manieristica sulla bella facciata. Costruito nel 1598 da Giovanni Battista Fontana su commissione di Paolo Borghese futuro Paolo V, poi fu ingrandito e inglobò la chiesa di Santa Caterina. Sede municipale durante la dominazione pontificia, fu il primo palazzo di Benevento ad avere un’illuminazione artificiale nel 1774. E’ sede di mostre ed eventi culturali.
Subito dopo, ecco la piazzetta Papiniano, nella quale si trova uno dei due obelischi di granito rosa (l’altro è al Museo Arcos), altro tre metri, proveniente dal tempio di Iside dell’88 d.C. Una iscrizione geroglifica spiega che fu eretto dal beneventano Rutilio Lupo in onore di Domiziano, che aveva fatto costruire il tempio.
Da visitare sul corso anche la chiesa di Sant’Anna o Santa Maria del Carmine, ad aula unica rifatta dopo il 1688. Di particolare interesse è la Madonna con i Ss. Luigi Gonzaga e Maddalena de’ Pazzi del pittore romano Sebastiano Conca. Sempre sul corso si trova Palazzo Mosti ora sede comunale dal caratteristico arco di passaggio sopra la strada per raggiungere il giardino, collocato sulle mura del XIV secolo.
Nella vicina via Annunziata, s’innalza la chiesa omonima, dove si riuniva l’assemblea del popolo. Ad aula unica, con tre cappelle per lato, una delle quali dedicata a San Gennaro, è opera di Filippo Raguzzini e ospita un busto marmoreo dell’arcivescovo Vincenzo Maria Orsini, che volle mantenere l’arcivescovado di Benevento anche dopo la sua elezione al soglio pontificio come Benedetto XIII. Tra le molte opere del periodo orsiniano si trovano un dipinto di Giuseppe Castellano del 1720, che raffigura tutti i patroni della città.
L'Arco simbolo della città
Dal corso ci si immette in via Traiano, aperta dopo il secondo dopoguerra proprio per valorizzare sullo sfondo il magnifico Arco di Traiano simbolo di Benevento. Uno degli archi romani meglio conservati al mondo, che rende omaggio in ogni millimetro dei suoi straordinari bassorilievi di marmo alle gesta militari e alla munificenza dell’imperatore Traiano, artefice tra il 108 e il 110 dell’Appia Traiana, un’alternativa più comoda all’Appia Antica per raggiungere Brindisi, passando per l’Apulia pianeggiante e luogo la costa. E l’arco venne eretto nel 114, in occasione dell’apertura della nuova arteria, che rendeva Benevento ancora più centrale nelle rete delle comunicazioni del versante adriatico con Roma. Alto quasi sedici metri e largo più di otto, con un solo fornice, su ogni facciata mostra quattro semicolonne agli angoli dei piloni che sostengono la trabeazione. Al di sopra, si trova un attico con un ambiente dalla volta a botte, costruito in blocchi di pietra calcarea coperti da opus quadratum di marmo pario. Sulla facciata che guarda verso la città, le sculture tratta il tema della pace, mentre sul lato che guarda la campagna si celebrano la guerra e le provvidenze elargite dall’imperatore. Traiano è raffigurato accolto dalla Triade capitolina e al Foro Boario. Il fregio sulla trabeazione illustra la spedizione vittoriosa sui Daci. Altri pannelli sono dedicati alle allegorie del potere imperiale. Ai lati interni del fornice, pannelli scolpiti raffigurano, a sinistra, il sacrificio per l’inaugurazione della via Traiana e, a destra, l’istituzione da parte del sovrano degli alimentaria per i fanciulli beneventani. Sulla volta a cassettoni l’immagine dell’imperatore appare incoronata da una Vittoria.
Intorno a Port'Aurea
Quando edificò la cinta muraria a protezione della città, nel VI secolo, Arechi vi inglobò l’arco romano come porta cittadina, chiamata Port’Aurea. Fu il papa Pio IX a dare l’avvio ai lavori per restituire al monumento la sua evidenza originaria, cominciando ad abbattere la sopraelevazione all’attico. Scampato alle bombe del 1943 grazie ad una protezione fino alla sommità con sacchi di sabbia, l’arco fu restaurato e riportato al suo originario splendore, come lo si ammira ora. Nella vicina chiesetta sconsacrata longobarda di Sant’Ilario è aperto al pubblico il museo “I racconti dell’Arco”.
Sempre nelle vicinanze si trova la confraternita di Sant’Antonio abate e la chiesa con convento di Sant’Agostino sede dell’Università del Sannio con un auditorium.
Ripreso corso Garibaldi, s’incontrano vari palazzi nobiliari come il settecentesco Palazzo Terragnoli, in stile roccocò con la facciata di Filippo Raguzzini, sede della Biblioteca Provinciale Antonio Mellusi, e a seguire il teatro comunale Vittorio Emanuele, della metà dell’Ottocento progettato da Pasquale Francesconi. Si arriva così in piazza Santa Sofia, dominata dalla chiesa di Santa Sofia, patrimonio Unesco, che ospita nell’annesso convento parte del Museo del Sannio.
Verso Santa Sofia
Attraversato corso Garibaldi, si giunge in via tenente Pellegrini, dove dal 1230 è il convento di San Convento di San Domenico fondato nel 1230 a cui nel 1233 fu affiancata la chiesa, rifatta all’interno in stile barocco dopo il 1688 e dalla facciata ottocentesca. Il caso ha riportato alla luce una ventina d’anni fa il ciclo di affreschi originario. Si sono conservati una Madonna con Bambino in stile gotico e San Giorgio e il drago del XV secolo. Di grande pregio la tavola del XVI secolo di Donato Piperno raffigurante San Vincenzo Ferreri e la statua settecentesca del Cristo Risorto di Gennaro Cerasuolo. Il complesso ospita il Rettorato dell’università e, nel giardino laterale del convento, l’Hortus conclusus creato da Mimmo Paladino.
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