A PIECE OF HEAVEN

IRPINIA

AVELLINO

AVELLINO

Lo sguardo abbraccia l’intera valle del Sabato,  che appare ancora verde attorno alla città. E poi la catena del Partenio e, dalla parte opposta, i Monti Picentini.

Un colpo d’occhio che rende giustizia alla bellezza del paesaggio irpino dal punto più alto di Avellino: una torre. Con i suoi trentasei metri d’altezza, la Torre dell’Orologio, che permette di spaziare tutt’intorno, è visibile, a sua volta, da ogni parte del capoluogo.

Ed è, infatti, il monumento simbolo della città, di cui il suo restauro ha segnato la rinascita dopo il sisma del 1980. 

fontanabellerofonte

Fu nel Seicento che il principe  Francesco Marino Caracciolo commissionò la costruzione della Torre, il cui progetto fu probabilmente redatto dal grande Cosimo Fanzago, che si trovava ad Avellino proprio nel ruolo di consigliere del Caracciolo. Tuttavia, a portare a buon fine l’opera lì dove in precedenza sorgeva un campanile, fu l’architetto Giovan Battista Nauclerio. In stile barocco, la torre era inizialmente a due piani con un basamento a bugne riquadre. Solo in seguito fu aggiunto un terzo livello con l’orologio dai quattro quadranti e la “diana”, che suonava a martello per segnalare qualche pericolo incombente sulla città. Danneggiata dai terremoti del 1688 e del 1742, la torre fu restaurata a fine Settecento e poi di nuovo dopo il sisma del novembre 1980, grazie al recupero di  diverse parti originali.

In piazza Amendola

Sulla piazza Amendola in cui s’innalza la torre, si trovava già agli inizi del Mille un edificio pubblico, dove si gestivano gli intensi traffici commerciali della città. Il palazzo della Dogana ospitava la borsa merci e le fiere cittadine più importanti, in occasione delle ricorrenze in onore della Madonna Assunta e del patrono San Modestino, oltre ad essere utilizzata per il mercato del martedì e del sabato. Nel quadro degli imponenti interventi varati dal principe Marino I Caracciolo per rinnovare e abbellire Avellino, era previsto anche un restyling barocco dell’edificio a cura di Cosimo Fanzago. E così il palazzo cambiò aspetto nel 1657, quando fu dotato di una facciata in cui comparvero lunette e nicchie per accogliere statue di imperatori romani, una statua di Venere Anadiomene e una del principe Marino Caracciolo, con gli stemmi. Altre statue provenivano dall’antica Abellinum. Acquistata nel Novecento da privati e convertita in sala cinematografica, dopo i danni del terremoto del 1980, un incendio la distrusse, lasciandone solo la facciata e parte delle mura perimetrali, mute testimoni dello splendore che fu.

Nella piazza, davanti alla Dogana, si erge l’Obelisco a Carlo II d’Asburgo, altra opera firmata da Cosimo Fanzago, su committenza dell’Università (ovvero il Comune dell’epoca) di Avellino nel 1668. Un omaggio al sovrano salito al trono ancora da bambino, che è ritratto nella statua di bronzo sulla sommità della guglia. E siccome Carlo è rappresentato all’età che aveva quando l’opera fu realizzata, ovvero appena sette anni, gli avellinesi lo hanno ribattezzato il “reuccio di bronzo”. Sotto l’obelisco è collocato un tondo con il ritratto di Fanzago. Sia la statua che il tondo, insieme a qualche altra parte monumento come i rosoni di bronzo alla base della guglia, si salvarono dal terremoto del 1732, poi l’opera fu ricomposta e spostata, per essere alla fine ricollocata nella piazza. 

La fontana dai tanti nomi

Fontana Caracciolo e soprattutto, per gli avellinesi, Fontana dei tre cannuoli…E’ conosciuta con vari nomi la Fontana di Bellerofonte,

fontanabellerofontefacilmente raggiungibile dalla piazza della torre. Seicentesca, nella versione originale vi erano numerose statue ad adornarla, alcune provenienti dagli scavi dell’antica Abellinum. Molte andarono perdute per effetto dei vari sismi verificatisi nei secoli. Ma tra quel che resta vi sono ancora antiche iscrizioni e lo stemma dei Caracciolo. 

Di fronte alla storica fontana, sull’antica via Regia delle Puglie che dall’epoca di Carlo III di Borbone collegava Campania e Puglia passando anche per Avellino, si trova  la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, creata nel  Cinquecento su un oratorio e in seguito riedificata dopo il terremoto del 1732. Barocca com’è ora ospita opere di allievi del Solimena, di Ricciardi,  di Guarino e di Cosimo Fanzago, autore del pregevole altare marmoreo con due angeli. Di particolare pregio il dipinto raffigurante la Deposizione e gli affreschi Madonna con Bambino Madonna con Bambino in gloria. Sulla via delle Puglie affaccia anche il complesso cinquecentesco della chiesa di San Generoso e del vicino convento. La chiesa in origine era dedicata al Santo Spirito, prima della nuova intitolazione avvenuta nel 1832. Come gli altri edifici sacri cittadini, è stata più volte rimaneggiata nel tempo. Ospita il sepolcro del vescovo Felice Leone II. Sempre sulla Strada Regia delle Puglie merita una visita la chiesa di San Giovanni Battista con il Monastero di Santa Maria di Monserrat, costruiti nel 1558 su un terreno donato ai Benedettini di Montevergine dalla contessa Maria de Cardona. Il complesso fu rinnovato nel Settecento, su iniziativa del principe Camillo Caracciolo.  Di notevole interesse artistico il San Giovanni Battista di  Michele Ricciardi, la Natività di Palomba del 1756  e la statua scura della Madonna di Monserrat del XVI secolo.

 

Il Duomo e la cripta dell'Addolorata

Nel luogo più alto, sulla collina de La Terra, dove aveva avuto inizio la vita della nuova città, sorse un primo luogo di culto in età longobarda, già esistente nel 969 quando fu istituita l’arcidiocesi di Avellino. Divenuta troppo piccola, la prima chiesa di Santa Maria fu abbattuta per fare posto all’attuale Duomo, edificato tra il 1132 e il 1166. Originariamente in stile romanico, la cattedrale  fu dedicata fin dall’inizio all’Assunta. Le vicende geologiche della città resero obbligati nei secoli diversi interventi di recupero e restauro delle strutture, che mantennero tuttavia le caratteristiche del romanico fino al Seicento, quando inttervennero le prime modifiche secondo le nuove tendenze architettoniche  e artistiche. Gli interventi settecenteschi cambiarono definitivamente volto al Duomo, facendone un monumento barocco, oltre a provvedere a rinforzarne le fondamenta già nel 1709. Lavori che, insieme a quelli fatti nel Novecento dopo la guerra, permisero di evitare conseguenze disastrose dal sisma del 1980. Invece, la facciata fu ricostruita nel 1857 su disegno dell’architetto Pasquale Cordola e realizzata con marmi decorati in stile neoclassico, con tre portali d’ingresso e le statue del patrono della città, San Modestino da Antiochia, e del patrono dell’Irpinia, San Guglielmo da Vercelli. Il campanile a pianta quadrata ha una base di pietre di epoca romana del I secolo a.C. provenienti da Abellinum e presenta una caratteristica cupola a cipolla. 

L’interno a croce latina è suddiviso in tre navate con dieci cappelle; il soffitto a cassettoni in legni dorati è impreziosito da una grande tela dedicata a Maria Assunta in cielo, opera di Michele Ricciardi nel primo decennio del Settecento. Gli archi tra le navate e le cupolette che danno luce alle navate laterali sono stati dipinti da Achille Iovine.  Delle numerose opere d’arte esposte nella chiesa madre di Avellino, il dipinto più importante è esposto nella Cappella dei Magi: l’Adorazione dei Magi di fine Cinquecento di Marco Pino da Siena, anche se più di recente se ne è ipotizzata l’attribuzione a Ippolito Borghese. Sempre nella navata destra si apre la Cappella della Crocifissione, che custodisce la reliquia di una Santa Spina della corona di Gesù e di un frammento della Croce donati da Carlo d’Angiò e provenienti dalla Cappella Reale di Parigi, protetti da un prezioso reliquiario a forma di croce di Biagio Guariniello. Vi si può ammirare anche una Crocifissione di Gesù.  Nella navata destra, la Cappella dell’Assunta ospita  la veneratissima statua lignea dell’Immacolata Concezione, che viene portata in processione ogni 15 agosto, capolavoro di Nicolò Fumo. Nell’absidiola sinistra del presbiterio si trova la Cappella del Tesoro di San Modestino, la più importante, che accoglie le reliquie del Santo (a cui è pure intitolata al cattedrale) e dei Santi Flaviano e Fiorentino, traslate solennemente ad Avellino il 10 giugno 1166. La cappella è stata realizzata dopo il terremoto del 1688 su progetto di Giovan Battista Nauclerio, che si avvalse delle migliori maestranze napoletane del tempo per le ricche decorazioni di legni e di marmi pregiati e per le vetrate artistiche. Di grande valore il busto d’argento di San Modestino di Biagio Guariniello. Nell’abside è degno di nota il magnifico coro ligneo cinquecentesco; l’altare maggiore è del XVIII secolo e ne sostituisce uno precedente forse opera di Fanzago; la volta è affrescata con tre episodi della vita di San Modestino di Achille Iovine. 

Dal transetto della cattedrale si accede allo spazio sottostante la navata centrale, dov’è la chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori, nota come cripta dell’Addolorata. E’ la parte più antica dell’intero complesso del Duomo e ne conserva lo stile romanico originario. A separare le tre navate s’innalzano bianche colonne con capitelli di epoca paleocristiana. Sulle volte, i dipinti di Michele Ricciardi. Dalla cripta, dove sono sepolti alcuni Vescovi di Avellino, si scende nei cunicoli longobardi

Intorno al Duomo

In piazza Duomo s’incontra la confraternita dell’Immacolata Concezione, risalente al 1768, prima collocata presso il convento dei Frati minori Conventuali. Fu costruita nel 1780 su progetto dell’architetto Oronzo de Conciliis. Di particolare interesse i dipinti di Michele Ricciardi e un gruppo statuario della Madonna del Carmine con Bambinodel XVII secolo. Scoperta per caso sotto il pavimento, si trova la cripta di San Biagio, antico luogo di sepoltura.

Sempre nei pressi del Duomo si trova la chiesa della Santissima Trinità, nata come Oratorio nel Seicento e poi consacrata alla Santissima Trinità dei Poveri nel 1735, quando fu eretta a parrocchia dal vescovo Felice Leone. Distrutta dal terremoto del 1805, ricostruita e di nuovo danneggiata dal sisma del 1980, venne chiusa e ora è sede di corsi di teologia. Il pregevole dipinto della Trinità del Solimena del 1672 fu messo allora in salvo presso la Soprintendenza.

Nel Rione Terra, alle spalle del Duomo, alla fine del Seicento, l’architetto Luigi Maria de Conciliis costruì su un terreno di famiglia il Palazzo De Conciliis, meglio noto agli avellinesi come Palazzo di Victor HugoIn quello che ricordava come un “palais de marbre”, palazzo di marmo, tra il 1807 e il 1808, in pieno Decennio francese, visse quando aveva solo otto anni  il futuro grande romanziere, giunto ad Avellino con la famiglia al seguito del padre Joseph Léopold Sigisbert, governatore della città. 

Raggiunto il corso Umberto I, tappa imperdibile è la Casina del Principe, che dava accesso allo splendido parco del Castello, tra le meraviglie della città, ambita riserva di caccia per i nobili che arrivavano ad Avellino ospiti dei Caracciolo. A realizzarla nel 1591 fu Camillo Caracciolo. Ingentissimi danni all’edificio furono provocati dagli attacchi subiti nel 1646, al tempo della rivoluzione di Masaniello. Nell’Ottocento, come si legge nei diari di viaggio dell’epoca, il palazzo fu trasformato in taverna e albergo mobiliato per la sosta dei viaggiatori che da Napoli si recavano nelle Puglie. La costruzione, che si può visitare, si sviluppa intorno a un cortile a pianta quadrata che portava alle scuderie e al parco. Caratteristica nel cortile la fontana semicircolare che fungeva da abbeveratoio. Vicino sorgeva il Castello di cui restano le rovine. E in piazza Castello si trova il Teatro Carlo Gesualdo

Tra le chiese avellinesi, presenta vari motivi di interesse anche la Chiesa di San Francesco Saverio, detta di Santa Rita per la statua della Santa. Di valore, sopra l’altare, la pala di Fedele Fischetti del 1767. In piazza del Popolo la Chiesa di Santa Maria del Rifugio o chiesa di Sant’Anna risale all’inizio del Settecento e ospita un dipinto di Maria Vergine con le Anime Purganti mai danneggiato da eventi sismici né dalle bombe dell’ultima guerra mondiale. Sulla collina dei Cappuccini sorge il Santuario di Santa Maria delle Grazie, con il convento del 1580 e la chiesa di quattro anni più tardi, che custodiscono varie opere d’arte come la Deposizione di Silvestro Buono del 1551 con un ritratto del committente della nobile famiglia Spadafora. Nel quartiere Ferrovia, la moderna chiesa di San Francesco d'Assisi si distingue per un famoso murale sulla pace. Di grande importanza per la storia cittadina, il Convento dei Cappuccini ha all’interno varie opere d’arte e un cortile adorno di un caratteristico pozzo e di lunette di terracotta. E la Chiesa dell'Adorazione perpetua, anavata unica, mostra un bel soffitto di legno dipinto e una tela di Ricciardi.

Palazzi e fontane in piazza della Libertà

Tornando indietro, superati il Duomo e la Torre, si giunge in piazza della Libertà, ex Largo dei Tribunali, con le sue fontane: quella seicentesca di Costantinopoli e l’altra, pure barocca, di Sant’Antonio Abate, su cui affaccia il Palazzo Vescovile. Ma ad occupare maestoso un intero lato della piazza è il settecentesco Palazzo dei Caracciolo, totalmente restaurato e attuale sede della Provincia. Costruito tra il 1708 e il 1713, due grossi leoni vegliano sull’ingresso, vicino alle colonne che sorreggono la scenografica balconata in pietra locale. Sulla facciata sono poste una meridiana e un’epigrafe che ricorda Garibaldi. Il palazzo fu edificato dalla principessa Antonia Spinola Colonna moglie di Marino III Caracciolo, quando la famiglia che dominava la città si convinse che il Castello, dove tanto a lungo aveva risieduto, era ormai ridotto in uno stato di fatiscenza tale da non essere più consono alla funzione residenziale e tanto meno adatto alla posizione dei Caracciolo. Per il nuovo edificio, si scelse un’area fuori il Largo. Fu così che il baricentro di Avellino si spostò dal borgo medievale, che era stato fino ad allora il centro della città, alla parte nuova, che cominciò a svilupparsi proprio con il nuovo palazzo, completato tra il 1720 e il 1730, sotto la supervisione dell’ingegnere Filippo Buonocore, tra i migliori del regno. Il palazzo era dotato di un magnifico giardino, dove nel gennaio 1735 sostò fu accolto Carlo III di Borbone, di passaggio in città durante il suo viaggio nel regno di cui aveva da poco preso possesso. Divenuta Avellino capoluogo del Principato Ultra nel 1806, due anni dopo il Comune acquistò il palazzo allocarvi i Tribunali e altri uffici pubblici. Nel 1839 fu aggiunto un altro piano a cura dell’amministrazione provinciale, di cui è la sede dal 1987, dopo il restauro post terremoto.

Da Piazza della Libertà inizia il Corso Vittorio Emanuele, la principale arteria cittadina. Lungo il corso s’impone con la sua facciata gotica la chiesa del Santissimo Rosario. L’edificio sacro sorse nel Cinquecento per volere della contessa Maria de Cardona sulle rovine di un ospedale preesistente. Alla munificenza della signora di Avellino si aggiunse quella di altri nobili della città, che contribuirono all’opera progettata da padre Federico da Montemurro. A tre navate, di cui quella centrale finemente affrescata, e con splendidi altari marmorei, la chiesa subì un improvviso crollo nel 1726. Fu abbattuta nell’Ottocento, ma dopo un lungo dibattito si decise la sua riedificazione, che avvenne nel 1933, in stile gotico. All’interno è esposto un bel Crocifisso e sull’altare il quadro della Madonna di Pompei

Nelle immediate vicinanze, a pochi metri dal tribunale, si trova il Carcere borbonico, che ospita il principale polo museale di Avellino, con il Museo Irpino del Risorgimento, la pinacoteca provinciale, il Lapidario, dei giardini, un auditorium e spazi didattici. Nella stessa zona è la Villa Comunale, alle spalle della quale è situata un’altra sezione del Museo Irpino.

Dalla Villa Comunale si può raggiungere l’antico borgo di Sant’Antonio Abate sul fiume Fenestrelle. Lì si trova  la fontana Tecta, del XII secolo, a cui andavano ad attingere acqua gli abitanti del rione e quanti percorrevano la Strada Salernitana. E’ nota anche come fontana di Grimoaldo dal nome del nobile che si occupò di abbellirla. Nell’Ottocento, i due lavatoi che vi furono ricavati, servivano per lavare i panni alle donne del rione.